La presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente non esclude di per sé il diritto ai permessi mensili retribuiti

Corte di Cassazione sez. Lavoro sentenza 29 ottobre – 22 dicembre 2014 n. 27232

Il Tribunale di Milano aveva respinto la domanda di una lavoratrice diretta a far accertare il proprio diritto a godere dei tre giorni di permesso retribuito ex lege 104/92.
La dipendente aveva dedotto di essere figlia unica di genitori anziani, residenti, per altro, in altra città, che la madre era inabile al 100% e godeva dell’indennità di accompagnamento, che il padre era gravemente malato e, pertanto, non in condizioni di poter assistere la moglie, che lei quindi era la persona che assisteva con continuità la madre.
Il Comune, del quale la ricorrente era una dipendente, aveva dedotto il difetto del requisito della convivenza con la persona handicappata ed il difetto, altresì, dell’assistenza continua.

Il Giudice di prime cure, nel respingere la domanda, aveva rilevato la mancanza del requisito della convivenza ed in particolare la mancanza dell’assistenza quotidiana che la ricorrente non avrebbe potuto comunque assicurare, vista la diversa città di residenza.

La dipendente comunale ricorreva in appello ottenendo l’accoglimento della propria domanda con riforma della sentenza di primo grado.
Secondo la Corte d’Appello, infatti, in base alla ratio normativa non era possibile interpretare restrittivamente il concetto di assistenza continua e di esclusività, non potendo altrimenti il lavoratore neanche svolgere attività lavorativa.
IL Giudice di secondo grado statuiva che nella fattispecie di causa poteva ritenersi raggiunta la condizione richiesta allorquando, con l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre, di fatto era rimasta solo la colf a garantire alla madre una assistenza parziale in assenza della ricorrente.

Il Comune ricorreva in Cassazione avverso la decisione della Corte d’Appello, deducendo in primis che, contraddittoriamente, la sentenza aveva riformato la decisione di primo grado sulla base di circostanze successive a quest’ultima.
La Cassazione, nella sentenza qui commentata, ha ritenuto tale motivo infondato, in quanto, nella specie, il requisito della “continuità” ed “esclusività” dell’assistenza (all’epoca necessario, v. Cass. 22¬4-2010 n. 9557, nella disciplina successiva alla legge n. 53 del 2000 – che ha eliminato il requisito della convivenza ed anteriore alla legge n. 183 del 2010 – che ha poi abolito anche la continuità ed esclusività dell’assistenza) costituiva condizione della azione, che andava comunque accertata dalla Corte di merito con riferimento al momento della decisione, essendo sufficiente che essa sussistesse in tale momento, ben potendo essere sopraggiunta nel corso del processo.

Con un secondo motivo il Comune aveva lamentato che già la notevole distanza geografica tra la città di residenza della ricorrente e quella della madre avrebbe dovuto indurre a negare la sussistenza della continuità dell’assistenza, mentre l’esclusività sarebbe stata smentita dalla circostanza della presenza quotidiana, nella abitazione della madre, di una colf, oltreché dall’aiuto del padre, di guisa che la presenza della ricorrente si limitava in sostanza ai soli fine-settimana.
La Suprema Corte ha giudicato non meritevole di accoglimento neppure il suddetto motivo.
Invero, la verifica della continuità ed esclusività dell’assistenza, ha dichiarato la Cassazione, costituisce accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e come tale insindacabile in sede di legittimità, se conforme a diritto e congruamente motivato.
In punto di diritto, come già statuito dalla stessa Corte in precedenza (v. Cass. 20-7-2004 n. 13481), ha poi affermato che la presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente non esclude di per sé il diritto ai permessi mensili retribuiti, non potendo in tal modo frustrarsi lo scopo perseguito dalla legge ed essendo presumibile che, essendo il lavoratore impegnato con il lavoro, all’assistenza del parente provveda altra persona, mentre è senz’altro ragionevole che quest’ultima possa fruire di alcuni giorni di libertà, in coincidenza con la fruizione dei tre giorni di permessi del lavoratore (v. Cass. 16-5-2003 n. 7701, Cass. 27-9-2012 n. 16460).
La Corte ha evidenziato in particolare che deve interpretarsi in senso elastico e rispondente alla ratio della norma anche il requisito della continuità, essendo evidente che, in ragione del lavoro espletato dal lavoratore ed in funzione della assistenza al parente, ben può esservi una continuità non giornaliera (ad esempio settimanale) meritevole di tutela.
Avvocato Sabrina Cestari

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