22/05/2012 Tutela sostanziale e coerenza del sistema processuale nel rito del lavoro: in appello la condizione per l’ammissibilità eccezionale, anche d’ufficio, di prove indispensabili per la dimostrazione (o la negazione) di fatti costitutivi allegati (o contestati) è la preesistenza di altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e acquisiti, meritevoli di approfondimento.

Cassazione civile sez. lav. n. 6753 del 04 maggio 2012

Nel caso di specie il Tribunale rigettava la domanda del ricorrente volta ad ottenere la pensione d’inabilità civile per inesistenza del requisito sanitario. La decisione veniva riformata dalla Corte d’appello che, dopo aver disposto il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio, riteneva sussistente l’inabilità del ricorrente e considerando, altresì, provato il requisito reddituale, condannava l’INPS alla corresponsione della pensione d’inabilità.

L’INPS ricorreva in Cassazione denunciando la violazione delle norme sull’onere di produzione delle prove, in quanto la Corte d’appello aveva fondato la sussistenza del requisito reddituale su documenti prodotti per la prima volta in appello e lamentando, altresì, che la sentenza impugnata non aveva fornito alcuna motivazione in ordine all’idoneità dei documenti prodotti in primo grado ed all’ammissione ex officio dei nuovi documenti.

In primis la Suprema Corte, nella sentenza qui commentata, evidenzia che l’acquisizione d’ufficio della documentazione relativa al requisito reddituale, avvenuta in appello, costituisce esplicazione dell’esercizio dei poteri officiosi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c., di cui, peraltro, il giudice di merito aveva fornito adeguata giustificazione nella sentenza impugnata, avendo esplicitamente ritenuto che da tale documentazione risultavano dimostrati i redditi del ricorrente e del coniuge.

La Cassazione sottolinea, quindi, che la giurisprudenza di legittimità, nella sua evoluzione più recente, espressa da alcune decisioni della Sezione lavoro, ha delineato una funzione di contrappeso di una precedente tendenza restrittiva, intesa a riportare il giudizio d’appello nel sistema di preclusioni delineato dal Legislatore del 1973 (v. Cass. n. 12856/2010).

Si tratta di decisioni, secondo la Corte, che presupposta l’esattezza di alcune delimitazioni, in particolare l’inammissibilità di mezzi di prova preclusi, tuttavia, “avvertono” l’esigenza di un rimedio idoneo all’accertamento della verità materiale, nell’ambito di un processo in cui sono coinvolti interessi meritevoli di particolare tutela.

Questo rimedio “riequilibratore” è stato individuato, secondo la Suprema Corte, nella possibilità, per il giudice d’appello, di esercitare i poteri officiosi di cui all’art. 437 c.p.c. in tutti i casi in cui questi siano diretti al definitivo accertamento di fatti costitutivi (o impeditivi, estintivi ecc.) allegati nel giudizio di primo grado e, se pure in modo incompleto, risultanti da mezzi di prova già dedotti ritualmente in quel giudizio (c.d. piste probatorie o di indagine).

La Cassazione segnala, al riguardo, variegate fattispecie in cui la prova dedotta per la prima volta in appello (secondo la sequenza: prova documentale – prova orale, ovvero secondo la sequenza: prova documentale – prova documentale) è finalizzata ad approfondire le risultanze istruttorie di primo grado costituite da documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio di prime cure e riassume le osservazioni giurisprudenziali che hanno contraddistinto tali decisioni:

– al giudice di appello è riconosciuto il potere di disporre d’ufficio nuovi mezzi di prova, purchè questi siano considerati come indispensabili ai fini della decisione della causa e la parte interessata non sia incorsa in decadenza nella allegazione dei fatti;

– l’operatività del limite rappresentato dell’avvenuta decadenza della parte, va ulteriormente precisata, nell’ambito di una evidenziata esigenza di contemperamento del principio dispositivo con il principio di ricerca della verità materiale;

– nel rito del lavoro e nella materia della previdenza e assistenza, allorchè le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, occorre che il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, eserciti il potere-dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale probatorio e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo, senza che a ciò sia di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti interessate;

– il potere d’ufficio è diretto a vincere, in relazione alla verifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere, i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, intese come complessivo materiale probatorio (anche documentale) correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado, e non può invece supplire ad una totale carenza di elementi di prova.

– ove gli elementi di prova siano presenti, non si pone, propriamente, alcuna questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte, dato che la prova nuova, disposta d’ufficio, altro non è se non l’approfondimento, ritenuto indispensabile, di elementi probatori che siano già ritualmente acquisiti, e quindi obiettivamente presenti nella realtà del processo.

In ordine alla necessità di rendere compatibili tutela sostanziale e coerenza del sistema processuale, la Suprema Corte segnala la sentenza delle Sezioni unite n. 8202/2005, la cui ratio decidendi è fondata sulla circolarltà esistente fra gli oneri di prova e l’onere di allegazione e contestazione, delineato, quest’ultimo, dalla nota sentenza delle Sezioni unite n. 761 del 2002.

In base alla sentenza delle Sezioni Unite l’omessa indicazione nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione. Questo vale anche per la successiva fase di giudizio, posto che l’inosservanza degli oneri correlati al rispetto di termini perentori comporta una preclusione definitiva e irreversibile. Nel contempo esiste, tuttavia, la possibilità di un esercizio dei poteri officiosi del giudice del lavoro, anche d’appello, che funzioni da “ammortizzatore” per l’eventualità che la verità materiale si allontani da quella emersa nel processo, sempre che le nuove prove, ritenute indispensabili, attengano a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti.

Pertanto: “allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti”.

La condizione, quindi, per la ammissibilità eccezionale, anche d’ufficio, di prove indispensabili per la dimostrazione (o la negazione) di fatti costitutivi allegati (o contestati), afferma la Suprema Corte, è la preesistenza di altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e acquisiti, meritevoli di approfondimento.

Alla stregua di tali principi, nel caso di specie, la produzione in appello dei documenti fiscali attestanti i redditi cumulati dal ricorrente e dal coniuge era, secondo la Cassazione, meramente integrativa di quelli già prodotti in primo grado, conseguentemente la loro produzione era ammissibile.

Per questi motivi la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dall’Inps.

Sabrina Cestari

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