La Cassazione ribadisce che in tema di pensione di inabilità civile, ai fini del requisito reddituale, non va calcolato il reddito della casa di abitazione

Cassazione civile sez. VI, 08 luglio 2013, n. 16972

La Corte d’appello di Bologna aveva accolto il ricorso proposto da un disabile con riferimento all’inesistenza dell’indebito che, secondo l’Inps, si era formato a suo carico per superamento del limite di reddito prescritto per godere della pensione di inabilità civile di cui all’ art. 12 della legge n. 118/1971, secondo i Giudici della Corte d’appello, invero, tra i redditi da prendere in considerazione non andava computato quello della casa di abitazione.

L’inps ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte, nella ordinanza qui commentata, in primis evidenzia le norme applicabili al caso di specie e la loro evoluzione nel tempo.

L’art. 8 della legge n. 114/1974, di conversione del D.L. n. 30/1974, stabiliva che le condizioni economiche per la concessione sia della pensione di cui all’art. 12 legge 118/71, sia per l’assegno di cui all’art. 13, fossero quelle previste dall’art. 3, della stessa legge per la concessione della pensione sociale, mentre il succitato articolo 3, dopo avere condizionato il diritto alla pensione a determinati limiti di reddito, prevedeva che dal computo del reddito fossero esclusi gli assegni familiari e la casa di abitazione.

L’art. 14 septies comma 4 del D.L. n. 663/1979, conv. in legge n. 33/1980, successivamente elevava i limiti di reddito di cui al suddetto articolo, ma non modificava la disposizione che escludeva il reddito della casa di abitazione ai fini del limite di legge.

Orbene, secondo la Cassazione, l’elevazione dei limiti di reddito così avvenuta non ha travolto la disposizione che esclude dal computo la casa di abitazione, facendo rinvio alla disciplina concernente la pensione sociale, invero, anche nei riguardi di quest’ultima, l’art. 23 della legge n. 153/1969 esclude dal computo dei redditi il reddito dominicale della casa di abitazione.

La Suprema Corte sottolinea, altresì, il fatto che l’art. 3 comma 6 della legge n. 335/1995 prevede che per l’assegno sociale, che dal 1° gennaio 1996 si eroga in luogo della pensione sociale, non si computano i redditi della casa abitazione.

Con la nota sentenza n. 5479/2012, la stessa Cassazione si era già espressa in materia affermando che: “In tema di pensione di inabilità, ai fini del requisito reddituale non va calcolato il reddito della casa di abitazione, in quanto la L. n. 118 del 1971, art. 12, rinvia per le condizioni economiche, alla L. n. 153 del 1969, art. 26, che, per la pensione sociale, esclude dal computo il reddito della casa di abitazione. Nè rileva, in senso contrario, la previsione di cui al D.M. n. 553 del 1992, art. 2, che impone, ai fini assistenziali, la denuncia dei redditi al lordo degli oneri deducibili, in quanto la casa di abitazione, non costituisce, a tal scopo, un onere deducibile, ma una voce di reddito”.

Conseguentemente, secondo la Suprema Corte, non è condivisibile il diverso orientamento, espresso dalla stessa Corte nell’ordinanza n. 4223/2012, che, del resto, era già stato superato dalla successiva sentenza del 28 giugno 2012, nella quale si afferma che non si può tenere conto di disposizioni dettate ad altri fini, come quelle che impongono la denuncia dei redditi ai fini assistenziali, perchè le stesse nulla dicono sulla determinazione effettiva del reddito da considerare ai fini del diritto alla prestazione, del resto, antecedentemente, la Cassazione aveva deciso nello stesso senso con la sentenza n. 2509/1983.

Il ricorso dell’Inps è stato, pertanto, rigettato.

Avvocato Sabrina Cestari

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