La sentenza del Tribunale di Milano n. 5801/2012 quale spunto per una riflessione in ordine alla vexata quaestio sulla responsabilità del Ministero della Salute in relazione alle trasfusioni praticate prima del 1978

Tribunale di Milano sentenza n. 5801/2012: il Ministero della Salute condannato per danni da HCV conseguenti ad una trasfusione eseguita nel 1968
Con la sentenza n. 5801/2012 del 17 maggio 2012 il Tribunale di Milano ha condannato il Ministero della Salute a risarcire tre danneggiati da epatite (HCV) post trasfusionale.
La sentenza merita di essere evidenziata in quanto condanna il Ministero della Salute al risarcimento del danno anche in relazione ad una trasfusione eseguita nel 1968.
Invero, il Ministero della Salute continua a sostenere la tesi secondo la quale la responsabilità per i contagi potrebbe decorrere al massimo dal 1978, data nella quale colloca la conoscenza dell’epatite B, escludendo qualsiasi responsabilità per i contagi precedenti.
Si evidenzia a tal riguardo, che anche la Corte d’Appello di Milano ha recentemente, con sentenza n. 507 del 31 gennaio 2012, smentito la tesi ministeriale con riferimento ad una trasfusione praticata nel 1975.
Come ben sottolineato nella sentenza di merito qui commentata, le Sezioni Unite della Cassazione, con le note sentenze del gennaio 2008, hanno posto in rilievo che gli obblighi del Ministero della Salute di prevenzione, programmazione, vigilanza e controllo in materia di sangue ed emoderivati, derivano da una pluralità di fonti normative:
la L. n. 296/1958, art. 1, la L. n. 592/1967, art. 1, La L. n. 592/1967, art. 20, la L. n. 592/1967, art. 21, la L. n. 592/1967, art. 22, il D.P.R. n. 1256/1971 (recante regolamento di attuazione della L. n. 592/1967), il D.M. Sanità 7 febbraio 1972, il D.M. Sanità 15 settembre 1972, la L. n. 519/1973, la L. n. 833/1978, il D.L. n. 443/1987, la L. n. 107/1990, la L. n. 178/1991, il D.M. Sanità 12 giugno 1991, il D. Lgs. n. 502/1992, il D.Lgs. n. 266/1993, il D.Lgs. n. 267/1993, il D. Lgs. n. 44/1997, il D. Lgs. n. 449/1997, art. 32, comma 11, il D. Lgs. n. 112/1998.

In considerazione delle fonti sopra richiamate emerge un quadro alla stregua del quale risultano attribuiti al Ministero attivi poteri di vigilanza nella preparazione ed utilizzazione di emoderivati, e di controllo in ordine alla relativa sicurezza e si evince, altresì, come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni 60 inizi anni 70 il rischio di trasmissione di epatite virale.
La rilevazione (indiretta) dei virus era, infatti, già possibile mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell’anti HbcAg (v. Cass. 15/7/1987 n. 6241; Cass. 20/7/1993 n. 8069, Trib. Milano 19/11/1997; Trib. Roma 14/6/2001), e già da tale epoca sussistevano obblighi normativi (L. n. 592/1967; D.P.R. n. 1256/1971; L. n. 519/1973; L. n. 833/1973) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto.

Non è possibile, pertanto, limitare la rilevanza del fenomeno e la relativa responsabilità alla “data di conoscenza dell’epatite B”.

Invero, era stata la precedente Cass. n. 11609/2005 ad affermare che fino a quando non erano conosciuti dalla scienza medica i virus della HBV, HIV ed HCV e, quindi, i “test” di identificazione degli stessi, cioè rispettivamente fino al 1978, 1985 e 1988, in caso di evento infettivo causato da detti virus per effetto di emotrasfusioni e assunzione di prodotti emoderivati, dovesse considerarsi difettare il nesso causale con la condotta omissiva del Ministero della Sanità.

Per meglio comprendere la conclusione alla quale giunge il Giudice di merito nella sentenza qui commentata, appare opportuno richiamare brevemente la recente giurisprudenza in materia:

Le Sezioni Unite (sentenza n. 581/08) hanno statuito che “sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinché fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione di rischi…” e che la responsabilità sopra descritta sussiste “a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B (la cui individuazione, costituendo un elemento fattuale, rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito” (concetto ribadito anche nell’ordinanza 6117/10 della III sez. civile).

Tale responsabilità, secondo la Suprema Corte, sussiste non solo per i contagi da virus B, ma anche per quelli da virus C: non si tratta, infatti, di “eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati da sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge”.

Questa conclusione trova conferma anche nella sentenza n. 20765/09 della terza sezione civile, in tale pronuncia la Suprema Corte, richiamandosi integralmente alla pronuncia delle Sezioni Unite già citata, ribadisce che “essendo unico l’evento lesivo … in caso di contagio di una malattia virale attraverso la trasfusione di sangue – e cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato) – e non già tre eventi lesivi, corrispondenti agli agenti patogeni dell’HBV, dell’HIV e dell’HCV, poiché fin dai primi anni ’70 era nota la contrazione dell’epatite B in conseguenza dell’assunzione di sangue infetto, già a partire dalla data di rilevazione diagnostica dell’epatite B – e non più quindi dalla data di identificazione dei singoli virus della HBV, HIV ed HCV … sussiste la responsabilità del Ministero della Sanità per aver omesso di dirigere, autorizzare e sorvegliare sulla circolazione del sangue e degli emoderivati … rendendo in tal modo possibile la diffusione del contagio virale, a prescindere dal tipo di infezione contratta”. Responsabilità che sussiste anche in considerazione del fatto che “il pericolo di contagio attraverso la trasfusione del sangue era avvertito dal Ministero della Sanità già a metà degli anni ’60, avendo con apposita circolare escluso dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT – indicatori della funzionalità epatica – erano alterati rispetto ai ranges prescritti”.

La terza sezione civile della Cassazione ha ulteriormente ribadito questi concetti nella successiva sentenza n. 9315/10, dove si legge che “è ius receptum (S.U. un, 576, 581, 582 e 584/2008) che già a decorrere dagli anni ‘60/’70 sussistevano obblighi normativi … di controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto – ed infatti, già a decorrere dalla metà degli anni ’60 erano esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT – indicatori della funzionalità epatica – erano alterati rispetto ai ranges prescritti”.

L’obbligo di controllo, direttiva e vigilanza sul sangue umano usato a scopi terapeutici sancito dalla Suprema Corte (sentenza n. 581/2008) è stato riaffermato, sempre dalla Cassazione, nelle recenti ordinanze n. 8430/11, 8431/11, 8432/11 e 8433/11: secondo la Corte la semplice violazione di quest’obbligo è sufficiente per costituire in colpa il Ministero della salute. Ne consegue, come si legge ad esempio nell’ordinanza 8430/11, che è “destituita di fondamento la … supposta insussistenza … dell’elemento della colpa … vale a dire della inesistenza di un dovere la cui violazione configura tale colpa; in sostanza della mancata violazione dell’art. 2043 c.c., sotto il profilo dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità tra il comportamento del Ministero e l’evento”.

In particolare nell’ordinanza 8430/11 la Suprema Corte chiarisce che il comportamento omissivo del Ministero consiste in un generale e complesso “mancato esercizio dell’attività di controllo e vigilanza in merito alla tracciabilità del sangue”. Ne consegue che, una volta accertata tale omissione, il nesso causale è escluso solo se “il comportamento omesso, se anche fosse stato tenuto, non avrebbe, comunque, impedito l’evento”.

Anche con la sentenza n. 11301 del 23 maggio 2011 la terza sezione civile della Corte di cassazione in merito alla responsabilità del Ministero ha ribadito che “lo stato delle conoscenze progressivamente raggiunte dalla scienza medica fin dagli anni 1970, avrebbe dovuto indurre l’allora Ministro della Sanità ad esercitare attivamente il dovere di controllo e di sicurezza“.

Infine, con la sentenza n. 17685 del 29 agosto 2011, richiamata quasi integralmente nella sentenza qui commentata, la terza sezione civile della Cassazione ha riaffermato che a partire dall’entrata in vigore della legge 592 del 1967 il Ministero era giuridicamente obbligato ad esercitare un’attività di controllo e vigilanza sul sangue e gli emoderivati utilizzati a fini terapeutici, ricordando inoltre che sin dalla metà degli anni ’60 era noto che il sangue e i suoi derivati costituivano un fattore di rischio di trasmissione dell’epatite, sottolineando altresì come, sempre nello stesso periodo, esistessero già degli strumenti atti quanto meno a ridurre il rischio di contagio.

Il rischio di contagio post trasfusionale, pertanto, è “antico quanto la necessità delle trasfusioni”, conseguentemente non può non ritenersi che il Ministero della salute fosse tenuto, anche anteriormente alle date indicate da Cass. n. 11609/2005 con un orientamento che deve ormai ritenersi superato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni fosse esente dai virus de quibus e che i donatori non presentassero alterazione delle transaminasi, in adempimento di obblighi specifici posti dalle fonti normative speciali.

Avvocato Sabrina Cestari

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