Transazioni: il Tar Lazio dichiara inammissibile il ricorso sul silenzio del Ministero della salute

Con sentenza n. 2898/2018, depositata il 14 marzo 2018, il TAR Lazio ha dichiarato inammissibile un ricorso con il quale si impugnava, “ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., il silenzio serbato dal Ministero della salute sull’istanza di adesione alla transazione formulata dalla parte ricorrente”.

Il Collegio ricorda, innanzi tutto, che le transazioni disciplinate dalla legge 244/2007 e dai successivi atti amministrativi, tra i quali il Regolamento n. 132/2009 e il Decreto Ministeriale 4 maggio 2012, consistono in accordi “da stipulare, in applicazione di una serie di disposizioni di carattere primario e secondario, tra il Ministero della salute e i soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati parimenti infetti che abbiano avviato azioni di risarcimento, tutte pendenti nei confronti del predetto Ministero”.

Procedure che da anni attendono un riscontro da parte dell’Amministrazione.

Per questo motivo il danneggiato ricorrente aveva adito il Tribunale Amministrativo romano, al fine di sentir dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dal Ministero della salute e, verosimilmente, chiedere la nomina di un Commissario ad acta per accertare, al posto dell’Amministrazione, il rispetto dei requisiti previsti dalla normativa sopra citata.

Il Collegio non ha accolto però l’istanza, ritenendo “di non discostarsi dal condivisibile orientamento, cui già questa Sezione ha aderito (cfr., ex multis, le sentenze 13 ottobre 2017, n. 10319 e 27 novembre 2017), alla stregua del quale:

a) ‘il rito speciale in tema di silenzio serbato dalla pubblica amministrazione non ha lo scopo di tutelare, come rimedio di carattere generale, la posizione del privato di fronte a qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della p.a., bensì quello di apprestare una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche discrezionali …;

b) ‘conseguentemente, tale rimedio non può essere attivato per la tutela di una posizione di diritto soggettivo allo scopo di ottenere l’adempimento di un obbligo convenzionale’ …”.

Il Collegio ha evidenziato che con ordinanza n. 2051/2016 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno individuato, nel caso di specie, “l’esistenza di una posizione di diritto soggettivo, vertendosi in un’ipotesi in cui l’atto domandato non costituisce estrinsecazione di un potere regolamentare diretto a individuare regole e criteri generali di ammissione alle suddette transazioni (come tali interferenti soltanto in via indiretta sulle posizioni di diritto soggettivo vantate dai singoli interessati), ma piuttosto appare riconducibile al procedimento di formazione del consenso sul singolo negozio transattivo eventualmente da stipulare, come tale idoneo a sortire un’interferenza diretta sul diritto soggettivo (id est, diritto alla salute) che forma oggetto specifico del già pendente giudizio risarcitorio”.

Ne consegue che nelle transazioni viene “chiaramente in rilievo una posizione di diritto soggettivo in capo all’istante, che non può costituire oggetto di alcuna attività di natura provvedimentale e dunque discrezionale della PA e che, pertanto, rende non invocabile la tutela apprestata dagli artt. 31 e 117 c.p.a.”.

Il ricorso è stato conseguentemente “dichiarato inammissibile dal momento che risulta inequivocabilmente diretto non ad accertare l’esistenza in capo alla p.a. dell’obbligo di adottare un provvedimento autoritativo e unilaterale a consistenza tipicamente amministrativa, quanto piuttosto a concludere una vera e propria transazione, il cui spessore negoziale, assieme alla conseguente portata paritetica, emerge già chiaramente dalla definizione in termini di ‘contratto’ rinvenibile nel codice civile all’art. 1965”.

Sabrina Cestari e Alberto Cappellaro

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