Prestazioni di previdenza e assistenza: il decorso della prescrizione è sospeso durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto, nonché durante il tempo di formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo che condiziona la procedibilità della domanda giudiziale.

Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza n. 5572/2012

Il caso dal quale trae origine la recente sentenza n. 5572/2012 del 6/04/2012 delle Sezioni Unite concerne il ricorso proposto da una lavoratrice madre al fine del riconoscimento del diritto all’indennità di maternità. Il Tribunale di Roma respingeva in primo grado la domanda della ricorrente in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’Inps. Il diritto all’indennità in parola veniva, altresì, negato dalla Corte di Appello di Roma che, in riferimento alla domanda inoltrata dalla lavoratrice, seguita dal ricorso amministrativo e dall’azione giudiziaria, affermava esser maturata la prescrizione annuale ex lege n. 138/1943. L’inizio della decorrenza del termine breve annuale, secondo la Corte d’Appello, doveva farsi coincidere, infatti, con il giorno in cui si erano perfezionati i requisiti costitutivi del diritto, in particolare la prescrizione nel caso di specie, era maturata, atteso che era decorso il termine annuale prima della proposizione del ricorso amministrativo, mentre il provvedimento amministrativo di rigetto della richiesta non poteva in alcun modo ritenersi interruttivo del corso della prescrizione.

 
La lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione e la sezione lavoro rimetteva la causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, ravvisando nel caso di specie un contrasto di giurisprudenza.

 
Invero, in alcune pronunce (Cass. sez. lav. n. 9286/2003 e n. 21595/2003) la Corte aveva ritenuto l’applicabilità del disposto dell’art. 97 comma 5 del R.D.L. n. 1827/1935 convertito in legge n. 1155/1936, in base al quale “il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione”, non modificato dalla sopravvenuta normativa in tema di ricorsi amministrativi (artt. 44, 45 e 46 del D.P.R. n. 639/1970 dapprima e art. 46 della legge n. 88/1989 successivamente). Secondo un diverso orientamento (Cass. sez. lav. n. 8533/2006 e n. 8134/2008), al contrario, la stessa Corte aveva ritenuto che nessuna efficacia poteva riconoscersi alla previsione della sospensione del termine di prescrizione di cui all’art. 97 del R.D.L. n. 1827/1935, trattandosi di disposizione contenuta nella disciplina dei ricorsi, tacitamente abrogata per incompatibilità a seguito dell’intervenuta nuova regolamentazione dell’intera materia del “contenzioso amministrativo”, ad opera dapprima del D.P.R. n. 639/1970 (artt. 44 e 46 inseriti all’interno del titolo terzo ricorsi e controversie in materia di prestazioni) e poi della legge n. 88/1989 (art. 46 che al primo comma ha abrogato la precedente disciplina dettata dagli artt. 44 e 47 del D.P.R. n. 638/1970).

 
Le Sezioni Unite, nella sentenza de qua, delineano in relazione alla fattispecie di causa, il seguente quadro normativo:

 
l’art. 15 della legge n. 1204/1971, nel prevedere l’indennità di maternità in favore delle lavoratrici madri, stabilisce che essa è corrisposta con gli stessi criteri previsti per la erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie dall’ente assicuratore di malattia presso il quale la lavoratrice è assicurata. Trova, quindi, applicazione l’art. 6 comma 6 della legge n. 138/1943, che prevede che l’azione per conseguire le prestazioni si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui esse sono dovute. L’erogazione della prestazione succitata presuppone la domanda della lavoratrice all’ente previdenziale, domanda che, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 533/1973 si intende respinta quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione senza che l’istituto assicuratore si sia pronunciato. Intervenuto il provvedimento negativo o formatosi il silenzio rigetto per l’inutile decorso del suddetto termine di 120 giorni, la lavoratrice può proporre ricorso amministrativo al comitato provinciale dell’istituto assicuratore nel termine di 90 giorni di cui all’art. 46 della legge n. 88/1989, disposizione questa che prevede un ulteriore termine di 90 giorni per la decisione del ricorso, in mancanza della quale, entro tale termine, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e l’assicurata ha la facoltà di adire l’autorità giudiziaria.
E’ determinante ai fini della decisione stabilire, secondo le Sezioni Unite, se il termine di prescrizione rimanga sospeso o meno per il periodo di tempo necessario per la formazione del silenzio rifiuto ai sensi dell’art. 7 della legge n. 533/1973.

 
Tale questione si inquadra in quella più ampia concernente la sospensione o meno del termine di prescrizione durante il procedimento amministrativo tout court, sia quello ordinario che si conclude con il provvedimento di accoglimento o di rigetto (espresso o tacito) della domanda, sia quello contenzioso che si conclude con l’accoglimento o con il rigetto (anch’esso espresso o tacito) del ricorso amministrativo.

 
Il contrasto di giurisprudenza, precisano le Sezioni Unite, riguarda proprio questo profilo:

 
secondo un primo orientamento il termine per la formazione del silenzio rifiuto di cui all’art. 7 della legge n. 533/1973 non è computabile ai fini del decorso del termine di prescrizione, che pertanto deve ritenersi sospeso per il tempo necessario per la formazione del silenzio rifiuto (120 giorni), e a questo periodo di sospensione occorre aggiungere un ulteriore termine di 90 giorni per la proposizione del ricorso amministrativo (Cass., sez. lav. n. 8042/1997, Cass. sez. lav. n. 1396/2002, Cass. sez. lav. n. 21595/2004, Cass. sez. lav. n. 2865/2004). A fronte di tale indirizzo ne esiste, però, uno di segno opposto (Cass. sez. lav. n. 2509/1993, Cass. sez. lav. n. 8533/2006, Cass. sez. lav. n. 8677/2006, Cass. sez. lav. n. 8134/2008) secondo il quale il termine non può rimanere sospeso in pendenza del procedimento amministrativo, per essere i casi di sospensione della prescrizione tassativamente indicati dalla legge, insuscettibili di applicazione analogica e di interpretazioni estensive.

 
Dal quadro normativo e giurisprudenziale descritto, secondo le Sezioni Unite, emerge che il decorso del termine di prescrizione è sospeso durante il tempo per la formazione del silenzio rifiuto dell’Istituto a cui l’assicurato abbia domandato la prestazione di previdenza (120 giorni ex art. 7 legge n. 533/1973), mentre rimane controverso se esso sia sospeso anche durante il tempo per la formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo, che condiziona la procedibilità della domanda giudiziale (art. 443 c.p.c. ed in particolare art. 46 legge n. 88/1989). In relazione a tale questione, infatti, sussistono orientamenti diversi: in alcune sentenze la Cassazione ha sostenuto l’applicabilità della sospensione del termine (v. soprattutto Cass. 9266/2003 e 21595/2004), mentre in altre ne ha escluso l’applicabilità (v. soprattutto Cass. nn. 8533 e 8677 del 2006).

 
Il denunciato contrasto riguarda, pertanto, uno specifico profilo nel contesto della più ampia questione dell’incidenza del decorso della prescrizione su diritti di natura previdenziale ed assistenziale nel periodo in cui l’azione giudiziaria non è procedibile ovvero (in passato) proponibile.

 
Invero, la questione si riferisce specificamente, alla disciplina di settore concernente i diritti di natura previdenziale ed assistenziale, che godono della speciale protezione di cui all’art. 38 Cost.
La suddetta disciplina, sottolineano le Sezioni Unite, si pone in rapporto di specialità rispetto al contesto codicistico che, se da una parte prevede in generale (art. 2935 c.c.) che la prescrizione inizi a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, d’altra parte, per la sospensione del decorso di tale termine, contempla non già una norma di carattere generale, ma le ipotesi tipiche catalogate agli artt. 2941 e 2942 c.c. (per la tassatività di tali fattispecie di sospensione della prescrizione v. Cass., sez. un. n. 7194/1992, recentemente ex plurimis Cass. sez. lav. n. 14163/2011).

 
Per giungere alla soluzione le Sezioni Unite ripercorrono doviziosamente il quadro e l’evoluzione storico/normativa dei diritti di natura previdenziale e assistenziale:

 
il sistema delle assicurazioni obbligatorie di previdenza si fondava in passato su un modulo tipicamente privatistico, quello del rapporto di assicurazione che vedeva nascere, in favore del soggetto assicurato, veri e propri diritti soggettivi e non già meri interessi legittimi, contemporaneamente il riconoscimento del diritto alle prestazioni di previdenza sociale era procedimentalizzato e sfociava in un provvedimento amministrativo dell’Inps, che poteva assegnare o negare la prestazione richiesta secondo che l’istituto ne ravvisasse, o meno, i presupposti.
In questo quadro la tutela giurisdizionale si innestava soltanto dopo che il procedimento amministrativo si fosse concluso, alla base di questa costruzione, osservano le Sezioni Unite, vi era la concezione per cui l’ente pubblico era deputato al bene comune ed il giudice non entrava in campo se non quando l’attività dell’ente pubblico non si fosse pienamente estrinsecata nel procedimento amministrativo ordinario e poi contenzioso.

 
Il differimento della tutela giurisdizionale all’esito del procedimento amministrativo ordinario e contenzioso era, pertanto, bilanciato proprio dalla previsione della sospensione del termine di prescrizione del diritto soggettivo, già sorto, quale espressione di un principio di settore riconducibile alla più generale massima contra non valentem agere non currit praescriptio. Invero, quando l’assicurato, titolare di un diritto soggettivo di natura previdenziale, aveva richiesto la prestazione, ma non poteva ancora adire il giudice (nel senso che la sua domanda sarebbe stata improponibile, com’era in passato, o improcedibile, com’è attualmente) perchè l’iter del procedimento amministrativo non era completato, non “soffriva” il decorso del termine di prescrizione, che era sospeso fin tanto che l’Istituto, che doveva provvedere, non avesse provveduto ovvero non fosse decorso il termine per provvedere.
Questo bilanciamento in chiave compensativa, che inizialmente rispondeva ad una scelta discrezionale del legislatore dell’epoca, è poi divenuto, evidenziano le Sezioni Unite, essenziale ai fini della compatibilità con gli artt. 24 e 38 della Costituzione, giacché sarebbe di assai dubbia legittimità costituzionale, un assetto normativo secondo cui il diritto dell’assicurato, che abbia domandato la prestazione di previdenza, possa prescriversi anche per tutto il tempo in cui egli non può adire il giudice perché la sua domanda sarebbe improcedibile (o addirittura, prima della riforma del rito del lavoro, improponibile).

 
Osservano le Sezioni Unite che, l’art. 97 comma 5 del R.D.L. n. 1827/1935 convertito in legge n. 1155/1936 è rimasto immutato anche quando il legislatore è intervenuto modificando i termini nei procedimenti amministrativi per l’attuazione delle disposizioni in materia di previdenza sociale e per i relativi ricorsi all’autorità giudiziaria con la legge n. 18/1957, che ha riscritto gli artt. 98 e 99, elevando a 90 giorni sia il termine per proporre il ricorso in sede amministrativa, sia il termine entro il quale questo doveva essere deciso.

 
Successivamente la riforma del 1970 (D.P.R. n. 639/1970) ha ristrutturato il procedimento amministrativo contenzioso prevedendo (artt. 44 – 47) un ricorso in prima istanza al comitato provinciale ed un ricorso in seconda istanza al comitato regionale (con la limitata possibilità di ricorso diretto agli organi centrali dell’istituto). Il doppio termine per proporre il ricorso amministrativo (in prima e di seconda istanza) e per la decisione dello stesso è rimasto fissato in 90 giorni, parimenti è rimasta la condizione di improponibilità della domanda (art. 460 c.p.c. all’epoca vigente ancora nella sua formulazione originaria), per cui, evidenziano le Sezioni Unite, l’azione davanti al giudice ordinario era proponibile soltanto una volta esauriti i ricorsi in via amministrativa, il cui iter risultava però allungato, in termini temporali, dalla previsione di un ricorso in seconda istanza per la revisione della decisione di prima istanza.

 
Questa diversa modulazione dei tempi del procedimento amministrativo contenzioso si innestava in un contesto normativo in cui rimaneva, nell’iter complessivo del procedimento amministrativo, ordinario e poi contenzioso, un elemento di indeterminatezza costituito dalla (ancora) mancata previsione di un termine per l’Inps per provvedere sulla domanda. Rimaneva, quindi, anche invariata l’esigenza di bilanciare l’iniziale prolungata improponibilità della domanda giudiziaria di tutela di diritti soggettivi di natura previdenziale con la previsione della sospensione del termine di prescrizione.

 
L’art. 59 del D.P.R. n. 639/1970, recante disposizioni finali e transitorie, ha previsto, tra l’altro, l’abrogazione di ogni disposizione contraria o incompatibile con quelle di cui al medesimo D.P.R.
Tra le disposizioni abrogate per incompatibilità, osservano le Sezioni Unite, non poteva esserci, conformemente a quanto ritenuto dalle sentenze della Cassazione n. 9286/2003 e n. 21595/2004 e diversamente da quanto affermato nelle sentenze della Suprema Corte nn. 8533 e 8677 del 2006, l’art. 97, comma 5, succitato, che continuava a prevedere che il procedimento in sede amministrativa aveva effetto sospensivo dei termini di prescrizione.
Non solo, sottolineano le Sezioni Unite, la ristrutturazione del procedimento amministrativo contenzioso in chiave di decentramento amministrativo, non era affatto incompatibile con la previsione della sospensione del termine di prescrizione, ma anche il contenuto della delega del 1969, che riguardava di decentramento amministrativo dell’attività dell’Inps, non autorizzava il legislatore delegato a modificare tale speciale disposizione di tutela degli assicurati e di moderato riequilibrio della mancata previsione di un termine per l’Istituto di previdenza per decidere sulla domanda dell’assicurato.

 
L’ipotizzata abrogazione per incompatibilità dell’art. 97, comma 5, per altro, avrebbe rappresentato una regressione di tutela per gli assicurati anche rispetto al livello del 1935 e un tale assetto normativo, per cui il diritto soggettivo a una prestazione di previdenza, tempestivamente richiesta dall’assicurato all’Istituto, non fosse azionabile in giudizio per un tempo non definito (quanto alla durata del procedimento amministrativo ordinario) e fosse non di meno suscettibile di estinzione per prescrizione, onerando così l’interessato di ripetuti atti di interruzione della stessa, non sarebbe più stato compatibile, secondo le Sezioni Unite, con gli artt. 24 e 38 della Costituzione.
Il decentramento amministrativo dell’Inps e la riforma del sistema dei ricorsi amministrativi non hanno inciso, pertanto, secondo le Sezioni Unite, sull’art. 97 comma 5.

 
Successivamente, con la riforma del processo del lavoro (legge n. 533/1973) si è determinato, invece, secondo le Sezioni Unite, un ridimensionamento della portata dell’art. 97, comma 5. L’art. 7 della legge n. 533/1973 ha previsto, infatti, che la richiesta all’istituto assicuratore si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione, senza che l’istituto si sia pronunciato e il nuovo art. 443 c.p.c., comma 1, introdotto dalla stessa legge ha previsto, che la domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui all’art. 442 comma 1, non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo (così superandosi ogni ipotesi di improponibilità della domanda per il mancato preventivo esperimento del procedimento amministrativo contenzioso: art. 149 disp. att. c.p.c.).

 
Il legislatore del 1973 ha introdotto, quindi, come istituto generale, il silenzio rifiuto sulla domanda dell’assicurato eliminando così quello che costituiva l’aspetto di maggiore criticità dell’effettività della tutela degli assicurati.
Con la riforma del 1973 i tempi sia del procedimento amministrativo ordinario, che di quello contenzioso risultano fissati (salvo disposizioni speciali) in 120 giorni per la formazione del silenzio rifiuto sulla domanda dell’assicurato diretta ad ottenere la prestazione rivendicata, ed in 180 giorni per la formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo proposto avverso il provvedimento di diniego ovvero il silenzio rifiuto.

 
In tale diverso contesto normativo, di elevazione del grado di tutela degli assicurati, evidenziano le Sezioni Unite, si è verificata una corrispondente riduzione dell’area di applicabilità dell’art. 97, comma 5. Il ruolo della suddetta disposizione risulta, pertanto, limitato al periodo di tempo in cui l’assicurato ha domandato la prestazione e l’istituto non ha provveduto nel termine di 120 giorni e successivamente ha impugnato il silenzio rifiuto (o il provvedimento negativo in ipotesi emesso prima della scadenza di tale termine) e gli organi deputati ad emettere la decisione sul ricorso amministrativo non abbiano provveduto nel prescritto termine (non superiore a quello di 180 giorni fissato dall’art. 443 c.p.c.).

 
Rimaneva (e rimane), quindi, ancora come principio di settore, enucleabile dall’art. 97, comma 5, citato, l’affermazione che il decorso del termine della prescrizione è sospeso in caso, e per il tempo, di inerzia giustificata (e quindi incolpevole) dell’assicurato, che abbia fatto ciò di cui egli è onerato (proposizione della domanda all’Istituto e successivamente proposizione del ricorso amministrativo) e che sia in attesa delle determinazioni dell’Istituto e degli organi preposti alla decisione dei ricorsi amministrativi, ossia in generale per il termine di 120 giorni per la formazione del silenzio rifiuto ed il termine non superiore a 180 giorni per la formazione del silenzio rigetto.
Tale principio non risulta successivamente contrastato nemmeno dalla legge n. 88/1989 di ristrutturazione dell’Inps, che ha semplificato il procedimento amministrativo contenzioso con la previsione, in particolare, della definitività delle decisioni dei comitati provinciali sui ricorsi amministrativi, neppure in questa circostanza, infatti, il legislatore ha inteso eliminare la speciale norma di tutela desumibile dall’art. 97, comma 5, citato.

 
Si tratta di un principio di settore, sottolineano le Sezioni Unite, che si pone in termini di specialità rispetto ai principi generali desumibili dalla disciplina codicistica per cui da una parte la prescrizione comincia a decorrere solo dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) e d’altra parte sono tipiche le cause di sospensione del decorso del termine di prescrizione (artt. 2941 e 2942 c.c.). La soluzione accolta, ovvero la perdurante vigenza dell’art. 97, comma 5, citato, pur nella portata ridotta sopra precisata, risponde, altresì, secondo le Sezioni Unite, all’esigenza che il processo interpretativo della normativa nazionale sia orientato alla maggiore conformità ai trattati internazionali (art. 111 Cost. comma 1), ciò che postula il rispetto del principio del processo “equo” posto dall’art. 6 della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in sinergia con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) ed ora anche con l’art. 47 della Carta diritti fondamentali UE, che assicura il diritto a un ricorso “effettivo” al giudice. L’inerzia giustificata, e quindi incolpevole, nell’agire in giudizio, per essere la domanda temporaneamente improferibile, risulterebbe sanzionata in modo “non equo”, secondo le Sezioni Unite, con l’estinzione del diritto per prescrizione o anche solo con il decorso del termine di prescrizione del diritto.

 
Il principio di diritto affermato nella sentenza n. 5572/2012 è, pertanto, il seguente:
“con riferimento alle prestazioni di previdenza e assistenza, per le quali il R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 97, comma 5, prevedeva – e prevede tuttora – che il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione, il decorso della prescrizione, che comincia solo se e quando il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), è sospeso durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto a norma della L. n. 533 del 1973, art. 7 che stabilisce che la richiesta all’istituto assicuratore di una prestazione di previdenza o assistenza si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della sua presentazione, senza che l’Istituto si sia pronunciato – nonchè durante il tempo in cui la domanda è improcedibile (art. 443 c.p.c.) per non essere ancora decorso, in generale, il termine di centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo ovvero, in particolare, per non essere ancora esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa ovvero decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi, come nel caso delle prestazioni previste dalla L. n. 88 del 1989, art. 46 (quale è, nella specie, l’indennità di maternità), che contempla il termine di 90 giorni per il ricorso al comitato provinciale e di ulteriori 90 giorni per la decisione di quest’ultimo”.

 
Conseguentemente, nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso proposto dalla lavoratrice e rinviato la causa alla Corte d’Appello, ritenendo la sentenza di secondo grado affetta da vizio di violazione di legge in quanto il termine annuale di prescrizione del diritto, interrotto con la domanda amministrativa non era interamente spirato alla data di presentazione del ricorso amministrativo, che ha ulteriormente interrotto il termine, dovendosi tener conto della sospensione della prescrizione durante il tempo per la formazione del silenzio rifiuto ai sensi dell’art. 7 della legge 533/1973.

 

Sabrina Cestari

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