Risarcimento: contagio da sangue infetto fornito da un centro trasfusionale estraneo all’ospedale ove avviene il ricovero, la Cassazione ribadisce gli oneri probatori che la struttura sanitaria deve assolvere per andare esente da responsabilità

Con ordinanza n. 30373/2024, pubblicata il 25 novembre 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito quali siano gli oneri probatori che la struttura sanitaria deve assolvere in caso di contagio da sangue infetto avvenuto presso le proprie mura, con sangue fornito da un centro trasfusionale esterno, e quindi non dipendente, dalla struttura medesima.
In linea generale, i giudici di legittimità evidenziano che la struttura ospedaliera risponde dei danni subiti dal paziente anche nel caso in cui la sacca di sangue venga fornita dal centro trasfusionale esterno e, per andare esente da responsabilità, è necessario che la stessa struttura, ove non abbia provveduto con autonomo centro trasfusionale, ma abbia utilizzato sacche di sangue acquisite tramite il servizio pubblico trasfusionale competente, fornisca la prova della propria condotta diligente, ossia di aver assolto all’obbligo di accertare e verificare che l’organismo presso il quale si è approvvigionato delle sacche di sangue avesse effettivamente compiuto i controlli vigenti all’epoca del trattamento sanitario.
Il primo e fondamentale obbligo che deve adempiere il nosocomio è quello di essere consapevole di quale sia il centro che ha fornito il sangue poi utilizzato per la trasfusione, obbligo violato nel caso di specie, la struttura coinvolta, infatti, neppure era resa edotta della provenienza della predetta sacca, circostanza emersa dal fatto che aveva chiamato originariamente in giudizio, in manleva, una ASL che non aveva alcun rapporto giuridico con il centro predetto.
La struttura deve inoltre, e soprattutto, innanzitutto accertarsi che il centro che fornisce il sangue abbia effettuato tutti i controlli vigenti e che essi abbiano dato esito negativo, ulteriormente che il donatore sia tracciabile, ovvero identificabile.
Obblighi, nel caso di specie, completamente disattesi, invero la Corte di Appello aveva accertato che la Casa di Cura non ha dimostrato che il sangue trasfuso alla danneggiata fosse stato controllato e sottoposto ai relativi test obbligatori per legge, essendosi quest’ultima struttura limitata ad allegare di aver ricevuto la sacca di sangue dal centro trasfusionale … “senza mai indicare che tipo di test ordinari – tra quelli resi obbligatori già con L. n. 107 del 1990, per la ricerca dell’HCV, noti quantomeno dal 1989 – fossero stati compiuti, che tipo di “tracciamento” emergeva del sangue impiegato, ai fini dell’identificazione del donatore, evidentemente risultato positivo all’HCV.
Per questi motivi la Suprema Corte ha confermato la pronuncia impugnata, che aveva condannato la struttura a risarcire alla persona contagiata i danni subiti in conseguenza della contrazione del virus.
Avv.ti Sabrina Cestari e Alberto Cappellaro

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