Con ordinanze n. 5413/2021 e n. 12182/2021, depositate rispettivamente il 26 febbraio 2021 e il 7 maggio 2021, la terza sezione civile della Corte di Cassazione si è occupata della disciplina dell’eccezione di prescrizione e dei requisiti che deve possedere la diffida prodotta in giudizio per poter avere una efficacia interruttiva.
Entrambe le pronunce hanno statuito su ipotesi di danni c.d. lungolatenti, ovvero i cui effetti si manifestano molto tempo dopo il fatto illecito, ma i principi enunciati rivestono carattere generale e, per alcuni aspetti, anche di novità.
La prima ordinanza concerne una fattispecie di danni da vaccinazione, la seconda danni da trasfusione di sangue infetto, entrambi sono soggetti al termine di prescrizione quinquennale ex art. 2043 codice civile.
Ambedue presentano, in fatto, aspetti peculiari.
Il ricorso definito con l’ordinanza n. 5413/2021 riguarda un procedimento radicato con atto di citazione notificato in data 10 gennaio 2005, l’indennizzo ex lege 210/1992 era stato domandato in data 28 maggio 2001 e i convenuti avevano eccepito che la prescrizione decorreva dalla data di somministrazione del vaccino, avvenuta nel 1965.
Nella fase di merito era stato accertato il nesso di causalità tra la somministrazione e la patologia, ma la domanda era stata respinta, sia in primo che in secondo grado, per prescrizione.
Secondo la Corte di Appello, in particolare, considerato che “il giudizio è stato introdotto con atto di citazione notificato il 10.1.2005, parte appellante avrebbe dovuto dimostrare che la conoscibilità del rapporto eziologico con la vaccinazione obbligatoria non potesse essere conseguita prima del 10.1.2000”, in altre parole “avrebbe dovuto allegare e dimostrare per quale ragione in concreto la conoscibilità della riferibilità eziologica non potesse risalire ad epoca anteriore a tale data”.
Nel giudizio definito con l’ordinanza n. 12182/2021, invece, “il danneggiato aveva allegato di avere presentato la domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992, senza tuttavia specificare la data, e di avere ricevuto comunicazione da parte del Ministero, in data 8.3.1994, dell’accoglimento della domanda di indennizzo … ; l’Amministrazione statale aveva, invece, eccepito la intervenuta prescrizione estintiva, sostenendo che il “dies a quo” doveva essere fatto decorrere dalla domanda di indennizzo, tuttavia omettendo di indicare la data della stessa”, elementi sulla base dei quali “il Tribunale, condiviso sul punto dalla Corte d’appello, ha ritenuto che la individuazione dell'”exordium praescriptionis” fosse questione di diritto e dunque il Giudice di merito potesse ex officio individuare il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione ex art. 2947 c.c., in base ai fatti allegati e dimostrati in giudizio. Ha quindi rilevato come l’unico elemento cronologico certo, rinvenibile dalle risultanze istruttorie, al quale fosse possibile far risalire la compiuta conoscenza da parte del danneggiato di tutti gli elementi della fattispecie lesiva … fosse da individuare nel responso della Commissione medica ospedaliera (CMO) …, concludendo in conseguenza per il rigetto della eccezione di prescrizione essendo state validamente interrotto il termine dagli atti interruttivi compiuti fino all’atto interruttivo del giudizio”.
Occorre ricordare, in via preliminare, che per giurisprudenza consolidata, per danni da sangue infetto e da vaccino, “è illogico ritenere che il decorso del termine di prescrizione possa iniziare dopo che la parte si è comunque attivata per chiedere un indennizzo per lo stesso fatto lesivo, pur nella diversità tra diritto all’indennizzo e diritto al pieno risarcimento di tutte le conseguenze del fatto dannoso. Tenuto conto che l’indennizzo è dovuto solo in presenza di danni irreversibili da vaccinazioni, emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati, appare ragionevole ipotizzare che dal momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio deve comunque aver avuto una sufficiente percezione sia della malattia, sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose, percezione la cui esattezza viene solo confermata con la certificazione emessa dalle commissioni mediche” (così Cass. Sez. Un. n. 579/2008).
Conseguentemente la data di presentazione della domanda di indennizzo costituisce “il momento ultimo di decorrenza iniziale del termine di prescrizione, in corrispondenza del quale è ragionevole attendersi che il soggetto contagiato, proprio perché si è attivato a richiedere l’indennizzo, disponga delle necessarie informazioni per ricondurre causalmente il contagio verificatosi all’evento scatenante”; peraltro, tale “consapevolezza … può ben verificarsi … anche in un momento precedente”, rientrando in tal caso “nell’onere probatorio della controparte dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, l’esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione” (così ad esempio Cass. n. 11298/2020).
Questi principi, pacifici e sulla base dei quali la Suprema Corte sovente risolve la problematica della prescrizione nei giudizi concernenti danni da sangue infetto o da vaccino, non hanno però trovato applicazione nelle pronunce qui commentate: nel primo caso, perché i convenuti avevano ancorato la decorrenza della prescrizione ad un fatto diverso dalla data della presentazione della domanda di indennizzo, nel secondo perché il Ministero della salute aveva omesso di indicare la predetta data, mentre l’attore aveva ammesso unicamente di aver chiesto e ottenuto il beneficio.
La pronuncia n. 5413/2021, evidenzia innanzi tutto che l’eccezione di prescrizione è una eccezione in senso stretto, quindi come tale rientrante nella sola disponibilità della parte, invero essa “deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso”, anche quando tale fatto sia “conosciuto attraverso un documento prodotto ad altri fini da diversa parte in causa”.
Principio pacifico, ribadito anche dalla ordinanza n. 12182/2021, che afferma altresì come non rilevi, invece, “l’eventuale erronea individuazione del termine applicabile, ovvero – l’erronea indicazione – del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte”.
Parimenti pacifico è che la prescrizione possa decorrere solo dal momento in cui il diritto può essere fatto valere e quindi solo quando esso può “essere effettivamente esercitato” (così l’ordinanza n. 12182/2021).
Tenuto conto di questi principi, dall’ordinanza n. 5413/2021 emerge come il debitore che eccepisce la prescrizione possa trovarsi in due situazioni diverse.
La prima ricorre quando dalla ricostruzione dei fatti effettuata dal danneggiato emerga che la prescrizione è già decorsa, in tal caso il convenuto può limitarsi “a rilevarne le conseguenze giuridiche”, ma “solo lui lo può fare” e, inoltre e soprattutto, lo deve fare in maniera esplicita, ovvero “sostenendo espressamente che il titolare ha allegato il diritto come sorto in un momento rispetto al quale la prescrizione era maturata”, non essendo invece sufficiente la mera “indicazione di un momento di nascita del diritto … diverso rispetto a quello, pur inidoneo, emergente dalla fattispecie allegata dal titolare”.
La seconda ricorre invece quando il danneggiato alleghi che l’esercizio del suo diritto è tempestivo ovvero non si pronunci sul punto, in tal caso il debitore deve indicare e provare “il diverso ed anteriore momento … in cui il diritto sia sorto o meglio si sia manifestato nella sua fattispecie costitutiva in modo da potersi far valere”.
Il caso affrontato dalla pronuncia n. 5413/2021 rientra nella seconda ipotesi, infatti “gli attori avevano agito assumendo che il diritto fatto valere era emerso nel momento del responso della commissione medica. Di fronte a tale prospettazione i convenuti avevano eccepito che il diritto era sorto in modo da potere essere fatto valere a far tempo” della somministrazione del vaccino.
Premesso questo, la Cassazione ribadisce come l’indicazione di colui che eccepisce la prescrizione sia vincolante per il giudice di merito, invero “ove dai fatti allegati, anche da quelli introdotti dagli stessi attori, fosse risultata una diversa fattispecie di manifestazione del diritto ai sensi dell’art. 2935 c.c., … essa non avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio dal giudice … Trattandosi di eccezione in senso stretto essa rilevava solo ed esclusivamente nei sensi e nel modo in cui era stata fatta valere dai convenuti, i quali, come s’è detto, avevano il monopolio e la riserva del potere di indicare il fatto giustificativo della prescrizione”.
La Corte cassa conseguentemente la pronuncia di appello per due ragioni.
Innanzi tutto in quanto “erroneamente ed in violazione della regola sull’onere della prova la corte territoriale … ha addebitato erroneamente agli attori l’onere di provare il fatto negativo della non insorgenza del diritto in modo da potersi far valere prima del 10 gennaio 2000, cioè ad una data anteriore ai cinque anni prima della notificazione della citazione introduttiva”, dimostrazione che spettava invece ai convenuti.
Inoltre, perché l’eccezione concretamente sollevata difettava della “dovuta attività di allegazione, che avrebbe dovuto … essere svolta con la comparsa di costituzione di primo grado e non avrebbe potuto essere introdotta nel processo nemmeno successivamente e ciò neppure con una mera rilevazione dell’efficacia di fatti comunque introdotti in esso”.
Difetto di allegazione dal quale discende “che il giudice del rinvio dovrà considerare che lo scrutinio qui effettuato … determina la dichiarazione di infondatezza della eccezione di prescrizione del diritto fatto valere, per come essa è stata genericamente formulata”.
La seconda pronuncia ovvero l’ordinanza n. 12182/2021 evidenzia innanzi tutto come “consolidato è il principio affermato da questa Corte secondo cui, in tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio”, l’inerzia che, “per assumere valenza di elemento costitutivo della eccezione, implica necessariamente … la indicazione di un termine iniziale e di un eventuale termine finale, dacché soltanto in presenza di tali elementi cronologici è possibile apprezzare il “fatto storico-tempo” nel senso di “durata” – sequenza temporale ininterrotta – della inerzia)”.
La decisione se tale inerzia sia di durata sufficiente al “verificarsi dell’effetto estintivo si configura come una “quaestio iuris” concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge”, la parte avrà pertanto il solo onere “di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto”, il giudice il compito di identificare “le norme applicabili al caso di specie … con il solo limite posto dal precetto generale dell’art. 112 c.p.c., di non poter modificare i fatti che costituivano il fondamento della prescrizione e di ricercare autonomamente nell’ambito di essi la data di inizio del decorso prescrizionale”.
I rapporti tra le parti, invece, sono caratterizzati da una “dialettica tra postulazione della esistenza del diritto ed eccezione di inesistenza per consumazione del tempo di esercizio di quello stesso diritto”, dialettica che comporta necessariamente, da un lato, che “il diritto risulti esattamente individuato nella sua consistenza … in base all’atto introduttivo del giudizio”, dall’altro “che la eccezione estintiva venga formulata in relazione ad un determinato momento iniziale dal quale il diritto … doveva reputarsi esercitabile”.
Pertanto “il debitore, che eccepisce la prescrizione, ha l’onere di provare la stessa (quale fatto estintivo del diritto azionato) e quindi anche la data di decorrenza (Cass. 13/12/2002, n. 17832; Cass. 05/02/2000, n. 1300 … ed ancora di Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4366 del 19/03/2012 e di Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14662 del 18/07/2016)”.
Tenuto conto di questo ultimo principio, anche l’ordinanza n. 12182/2021 qualifica come non correttamente formulata l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della salute, invero l’Amministrazione “non poteva, allora, limitarsi alla mera astratta reiterazione del “dictum” normativo dell’art. 2947 c.c., comma 1, come interpretato da questa Corte, ma avrebbe dovuto allegare e provare (tenuto conto che non era in contestazione la presentazione da parte dell’attore-danneggiato della domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992), il “fatto-temporale” costitutivo della eccezione, ossia la … “data di presentazione” della richiesta di indennizzo”.
L’esito del giudizio, però, è stato ciò nonostante sfavorevole al danneggiato, vincitore in entrambi i gradi di merito, per una ragione concernente l’atto interruttivo prodotto dal danneggiato, consistente in una raccomandata postale comprensiva delle ricevute di spedizione e di ritorno, ma priva, nella copia prodotta in atti, tanto della sottoscrizione quanto della data.
La Corte ha ritenuto irrilevante la carenza della data essendo ormai prevalente l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale “la “raccomandata postale” costituisce prova certa della trasmissione del plico spedito, attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione … di arrivo al destinatario dell’atto comprendente la busta ed il suo contenuto, … spettando di conseguenza al destinatario l’onere di dimostrare che il plico (recte: la busta) non conteneva alcuna lettera”.
Diversa è stata la conclusione in relazione alla mancanza della sottoscrizione nel documento prodotto in giudizio, documento che, secondo la Cassazione, deve “presumersi corrispondente in tutti i suoi elementi a quello trasmesso a mezzo di raccomandata AR e ricevuto dal Ministero”, corrispondenza “che si estende non soltanto al contenuto dichiarativo ma anche alla modalità rappresentativa (scrittura)”, con la conseguenza che il danneggiato avrebbe dovuto “fornire la prova che lo stesso era stato sottoscritto, ossia che l’atto effettivamente recapitato presentava un elemento divergente rispetto all’atto prodotto in giudizio (privo di firma)”.
Dimostrazione che invece non era stata fornita, né secondo la Cassazione “è possibile ritenere raggiunta “aliunde” la prova della riferibilità dell’atto formale al danneggiato, come sembra ipotizzare la Corte territoriale, attraverso un percorso di tipo presuntivo”.
La Corte di Appello aveva infatti ritenuto “che il danneggiato, esibendo il documento privo di firma, unitamente alla ricevuta di consegna della raccomandata AR, abbia fornito un “principio di prova” della provenienza dell’atto di costituzione in mora”, presunzione che secondo la Suprema Corte “non trova riscontro né nelle norme processuali (art. 116 c.p.c., comma 2, che fa riferimento ad “argomenti – che il Giudice può indicare come oggetto – di prova”), né in quelle di diritto sostanziale (vertendo l’art. 2704 c.c., comma 1, n. 1, sul “principio di prova scritta”, ma ai fini della ammissibilità della prova orale; mentre l’art. 2736 c.c., comma 1, n. 2, non consente di estendere il giuramento suppletorio, in caso di “semiplena probatio”, anche alla prova degli atti a forma vincolata …)”.
La diffida è una scrittura privata, la sottoscrizione ne costituisce pertanto elemento essenziale, “atteso che la sola sottoscrizione attesta la provenienza dell’atto dal suo autore”, invero “la mancanza della sottoscrizione … impedisce di istituire la relazione univoca tra dichiarazione espressa nel contenuto scritto ed il suo autore” con la conseguenza che “il contenuto dichiarativo” contenuto nella diffida non firmata “rimane un testo adespota, ossia una dichiarazione volitiva che non è riferibile ad alcun soggetto”.
Pertanto l’atto di costituzione in mora privo di sottoscrizione non può “produrre l’effetto interruttivo della prescrizione di cui all’art. 2943 c.c., comma 4”, né è consentito successivamente all’autore dell’atto fare propria la dichiarazione, sottoscrivendola, con efficacia ex tunc, infatti “la produzione in giudizio del documento unitamente alla manifestazione di volontà di farne proprio il contenuto espressa nell’atto introduttivo, debitamente sottoscritto, non consente di interrompere “ora per allora” il decorso del termine di prescrizione del diritto che sia già compiutamente maturato”.
Preso atto della inidoneità della diffida in atti ad interrompere la prescrizione e la conseguente infondatezza, “per intervenuta prescrizione del diritto” della “pretesa risarcitoria formulata … nei confronti del Ministero della Salute”, con l’ordinanza n. 12182/2021 la Suprema Corte ha cassato la pronuncia impugnata e, “non dovendo procedersi ad ulteriori accertamenti in fatto”, ha deciso nel merito la controversia rigettando la “domanda introduttiva proposta … nei confronti del Ministero della Salute”.
Avv.ti Sabrina Cestari e Alberto Cappellaro
Questo articolo è anche pubblicato sulla rivista laprevidenza.it