Nesso causale in materia civile, regola probatoria, principio della probabilità prevalente (preponderanza dell’evidenza): lo standard di “certezza probabilistica” non può essere ancorato alla determinazione quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi (probabilità quantitativa o pascaliana), ma deve essere verificato, in relazione agli elementi disponibili nel caso concreto, riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma e verificando, nel contempo, l’esclusione di possibili elementi alternativi (probabilità logica o baconiana).

Cassazione civile sez. III, 15 maggio 2012, n. 7554

Il caso trae origine dal decesso, per epatite C, di una danneggiata da trasfusioni di sangue infetto.

Gli eredi della de cuius avevano convenuto in giudizio il Ministero della Salute per il risarcimento dei danni, ma la domanda era stata rigettata per ritenuta mancanza del nesso causale tra l’omissione del Ministero, mancata vigilanza sul sangue, e il danno.

Era stato, altresì, rigettato l’appello proposto dagli stessi eredi, in quanto la Corte aveva ritenuto che l’unica indagine che il Ministero avrebbe potuto compiere, all’epoca del fatto, atteneva alle anali sulle transaminasi eventualmente alterate dei donatori, ma che tale indagine avrebbe, in ogni caso, ridotto il rischio di contagio solo del 30%.

Secondo la Corte d’Appello, poiché tale limite era inferiore al 50%, non risultava comunque provato il nesso causale tra il comportamento omissivo di mancata vigilanza imputabile al Ministero e l’evento lesivo subito dalla danneggiata.

Gli eredi della de cuius avevano impugnato la pronuncia della Corte d’Appello in Cassazione.

Nella sentenza qui commentata, in primis la Suprema Corte ribadisce che già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B (la cui individuazione, costituendo un accertamento fattuale, rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito), sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio degli altri due virus (epatite C e HIV), che, come evidenziato dalle Sezioni Unite, non costituiscono affatto eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, sangue che il Ministero non aveva controllato, come invece era obbligato a fare per legge (Cassazione S.U. n. 576 e 581 del 11/01/2008).

La Corte osserva poi che le stesse Sezioni Unite hanno statuito che lo standard probatorio in materia civile si fonda sul principio “del più probabile che non”, ovvero della preponderanza dell’evidenza, come rilevato anche dalla sentenza impugnata, sentenza che, tuttavia, nel caso di specie, non ha fatto del suddetto principio corretta applicazione ai fini della ricostruzione e dell’accertamento del nesso causale.

Secondo la Cassazione l’impostazione sulla quale si fonda la sentenza impugnata torna al vecchio principio sancito nella pronuncia n. 11609/2005 dalla stessa Suprema Corte, ovvero che finché non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale, i virus della HIV, HBC e HCV, poiché l’evento infettivo causato da detti virus era astrattamente inverosimile, in quanto addirittura anche astrattamente sconosciuto, mancava il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l’evento lesivo. Invero, all’interno delle serie causali non poteva darsi rilievo che a quelle soltanto che, nel momento in cui si produsse l’omissione causante e non successivamente, non apparivano del tutto inverosimili, tenuto conto della norma comportamentale o giuridica, che imponeva l’attività omessa.

Tale principio, evidenzia la Suprema Corte nella sentenza qui commentata, è stato superato dalle sentenze delle Sezioni Unite, secondo cui il dovere di vigilanza del Ministero non si doveva necessariamente esplicare con riferimento allo specifico virus. Invero, il dovere di vigilanza per effetto dell’unicità dell’evento lesivo doveva investire qualunque alterazione del sangue del donatore e segnatamente l’individuazione delle transaminasi con valori al di fuori dalla norma.

L’errore in cui è incorso il giudice di appello nel caso di specie, afferma la Cassazione, consiste sostanzialmente nell’aver trasferito la percentuale statistica di riduzione del rischio post – trasfusionale d’infezione da epatite nella minore probabilità ai fini della prova del nesso causale, ovvero aver ritenuto che, poichè la riduzione del rischio di contrazione dell’epatite era solo del 29 %, a seguito di esclusione dalla trasfusione del sangue di donatori con transaminasi alterate, questo costituisse una minore probabilità rispetto al 50% e, quindi, dovesse ritenersi non provato il nesso di causalità omissiva.

La Suprema Corte sottolinea che, essendo eguali i principi che regolano il nesso causale in materia penale e in materia civile (art. 40 e 41 c.p.), quello che muta tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria: nel primo caso vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328), mente nel secondo caso quella della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, così come rilevato anche dalla dottrina che ha esaminato l’identità di tali standard delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali (Cass. 16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238).

La Cassazione evidenzia poi che anche la Corte di Giustizia CE è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12).

Tale standard di “certezza probabilistica” in materia civile, afferma la Suprema Corte, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma deve essere verificato, invece, riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana).

Esigenze di coerenza e di armonia dell’intero processo civile comportano, secondo la Cassazione, che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche quando vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente.

La Suprema Corte afferma che bisogna, in sede di decisione sul fatto, scegliere l’ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. Si tratta di una scelta comparativa e relativa all’interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perchè in vario grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli all’una o all’altra ipotesi.

Il criterio della probabilità prevalente, secondo la Cassazione, fonda anche il sistema logico-operativo della prova presuntiva che è essenzialmente un ragionamento probabilistico per giungere alla conclusione più probabile (fatto ignoto) tra quante possono esser ipoteticamente tratte dalla stessa premessa e cioè dal fatto noto.

La sentenza impugnata, che ha ritenuto non provato il nesso causale tra condotta omissiva ed evento sul rilievo che gli accertamenti omessi dei livelli di transaminasi avrebbero ridotto solo di un 30% il rischio di infezione, è, pertanto, secondo la Suprema Corte, viziata.

Il giudice di appello, invero, avrebbe dovuto porsi il diverso problema di quali fossero le possibili cause dell’infezione da epatite e tra queste cause avrebbe dovuto individuare quella “più probabile che non”.

Se la causa era individuata nella trasfusione di sangue infetto, all’interno di tale causa, secondo la Cassazione, andava ulteriormente valutato, utilizzando lo stesso principio di preponderanza dell’evidenza nella concatenazione causa-effetto, se il comportamento omissivo del Ministero (che non aveva compiuto gli accertamenti necessari sul donatore), si presentava con maggiore probabilità eziologica rispetto ad altri elementi alternativi, se esistenti.

Nel caso di specie, pertanto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dagli eredi della danneggiata cassando con rinvio la sentenza.

Sabrina Cestari

Questo articolo, nonchè la sentenza succitata, sono pubblicati sul sito: www.laprevidenza.it

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